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Fondata sulla Cultura:

A un certo punto del suo “Fondata sulla cultura” (Einaudi, 2014, pp. 109), Gustavo Zagrebelsky spiega che la differenza paradigmatica tra chat e book è dettata dal tempo: istantaneo per la prima, durevole per il secondo.
La comunicazione è fatta di messaggi immediati , i libri invece aprono processi formativi distesi nel tempo ed è il piacere del testo a dominare. La comunicazione non ha onere di argomentazione, è più spesso un corpo a corpo, il cui principio è l’istante, mentre la cultura è un fatto di durata, non somma meccanicamente istanti isolati, ma li collega tra loro in modo sensato. Potremmo dire che la cultura è proprio il ‘senso’ che collega particolari, dettagli, situazioni altrimenti ridotti a semplici singolarità, a dettagli comunicativi.
Questo è il paradigma. Ovviamente, dice Zagrebelsky, non si tratta di contrapporre chat (comunicazione) e book (formazione, cultura), anche perché oggi molta formazione passa per la chat, il dialogo istantaneo in rete, la messaggistica rapida, il corpo-a-corpo comunicativo. Ed era stato così anche in passato, persino nell’antichità: cosa sono i dialoghi di Platone se non cultura e formazione in una forma specifica rispetto al testo in generale? Il punto non è rigettare il valore della comunicazione (che oggi è cultura), ma di non confondere le due cose: nessun comportamento comunicativo potrebbe sostituire in toto il senso della cultura, nessun istante, per quanto illuminante, potrebbe mai surrogare del tutto la ‘durata’ della formazione, l’articolazione della cultura, la complessità del libro, ossia di un testo che dà persino un piacere.
La messaggistica, la chiacchiera in rete, ma anche la pubblicità, la comunicazione in rete non esauriscono le nostre necessità, soprattutto quelle connesse alla diffusione dell’istruzione, all’apprendimento e ai fabbisogni culturali in genere. In breve, con la comunicazione (nelle sue forme più istantanee) non siamo ancora in toto nel campo della cittadinanza vera e propria, dove si alimenta davvero la necessità di libertà e partecipazione (politica), ma si indugia ancora in quello dei consumi, del mercato: dell’economico insomma. La democrazia della rete appare più che un problema.
Ecco perché “Fondata sulla cultura”. Perché la cultura, quando non è asservita all’economia e alla politica, nutre un contesto, forma le persone e crea le condizioni perché si esprima la libertà di ognuno. Agisce affinché lo spazio pubblico sia davvero uno spazio di partecipazione, non un recinto di semplici utenti o consumatori.
Ovviamente ciò non basta. Serve che la cultura alimenti con le sue idee, i suoi progetti anche la politica. Ed è necessario che la politica non sia solo comunicazione, tecnica, specialismo asettico. Ma che ritorni a essere strategia, visione d’assieme, sguardo generale. E che vi sia una cultura in quanto formazione capace di alimentare un ritorno alla politica che argini gli specialisti, le visioni tecniche, la riduzione della cultura stessa a comunicazione. Ma qui Zagrebelsky è un po’ reticente, perché non ci racconta chi abbia in questi anni alimentato il mito della società civile, dei professori al potere, dei tecnici, del potere editoriale e mediale su tutti. Non ci dice come e perché ciò sia avvenuto. Anche tutti costoro sono responsabili dell’attuale crisi della politica e della terribile avanzata dell’antipolitica.