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I libri salveranno le nostre vite

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Italo Calvino ha definito ‘classici’ (provo a riassumere) quei libri che portano

“su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato”.

Intendeva dire che essi producono una rete di rimandi continui e di connessioni, e immettono il lettore in una trama storica, culturale, linguistica, sociale, psicologica. I classici tracciano e lasciano tracce, insomma. Tracciano la nostra anima e il nostro intelletto, ma sono segnati e tracciati a loro volta da chi li ha letti. Sono una specie di scrigno che si riempie nel tempo, e si riversa poi nella nostra persona. Il classico traversa i tempi, le culture, le persone e ne è traversato.

Calvino si riferisce, sappiamo, a certi specifici libri, distinguendoli accuratamente dai non classici, dalle nuove uscite, da quei libri che sono solo brevi suggestioni editoriali e che non producono la stessa, medesima ricchezza di un Dickens o di un Goethe.

Perché il suo intento era “salvare” tutti i libri

Eppure, io ho come l’impressione che lui avesse a mente, scrivendo Perché leggere i classici, il ‘libro’ nella sua assolutezza, il ‘libro’ in genere. Perché? Perché il suo intento era “salvare” tutti i libri. Per salvarlo da certe idee che circolavano nei suoi confronti, e che circolano ancor’oggi a dire il vero.

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In primo luogo, l’idea che il libro (Calvino pensava alla letteratura, lo sappiamo) sia una cosa ‘statica’, un oggetto culturale grigio e polveroso, pesante, incapace di essere ‘moderno’. Tanto più argomentabile, se pensiamo che lo scrittore assume a riferimento proprio i libri all’apparenza più statici, più in temporali, i classici appunto. E poi l’altra idea, che i libri siano un’esperienza di solitudine. Infine, che essi producano un atteggiamento passivo nel lettore.

i libri sono tracce che portano con sé altre tracce e lasciano tracce

In realtà, dice Calvino, i libri sono tracce che portano con sé altre tracce e lasciano tracce, a loro volta, nell’animo e nell’intelligenza del lettore. Provate allora a ‘mappare’ questi segni, queste scie e, da un punto di vista dell’immagine, prenderà forma una rete di ‘relazioni’ e di rimandi capace di traversare lo spazio e il tempo in ogni direzione. Altro che ‘assolutezza’ del libro e solitudine del lettore. Altro che cosa ‘statica’ e polverosa. Semmai, al contrario, i rimandi, le tracce, le relazioni (le ‘connessioni’!) producono l’idea di una rete molto, ma molto simile concettualmente alla Rete, ossia a un simbolo chiave e a un’infrastruttura tipica della nostra contemporaneità.

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Leggere i classici (leggere i libri insomma) è quanto di più attuale possa capitarci, almeno sotto questo riguardo.

Il problema è: come riconoscere queste tracce? Come fare emergere queste connessioni? Come lasciare noi stessi delle tracce nella lettura, come entrare in risonanza con tutti i lettori che quei libri li hanno già vissuti, con le culture che li hanno eletti a propri riferimenti, con l’humus che essi hanno deposto nelle varie epoche, i risvolti che hanno sollevato, le emozioni che hanno reso fondo comune? Come leggere non solo le loro parole in astratto, ma anche questo fondo, e tutti i dettagli emersi e sommersi, e le pieghe dove s’è deposta e infranta l’onda delle infinte idee o emozioni sollevate? Perché i libri ci accompagnano, mettono in comune ben più di quanto non si immagini.

E più che salvare il libro, forse oggi il compito si ribalta e diventa quello di salvare le nostre vite e i nostri animi con i libri. Di carta, digitali, non importa. Purché libri.

Sono un’esperienza collettiva non solo personale, sono un ‘talismano’, come scrive sempre Calvino, che rievoca l’idea del ‘libro totale’ di Mallarmé. Ma, allora, come trasformare, nella nostra lettura, il libro in questo talismano capace di attraversare i mondi e metterli in connessione? In un solo, semplice modo: leggendo e rileggendo, che poi è la stessa cosa. Dove? A scuola, dove ti danno degli strumenti, ma soprattutto dopo, nella particolare esperienza di persona e di lettore. Come? Con amore, dice Calvino.

Dovremmo tenere a mente, a questo proposito, che “le scelte che contano sono quelle che avvengono fuori e dopo ogni scuola”, aggiunge Calvino. Come dire che è nella vita e nell’esperienza vera che il libro è davvero libro. Nel costante rumore di sottofondo della cronaca. Nelle tragedie e nelle riscosse della storia. A contatto con la vita quotidiana, senza la quale tutto diventa solo accademia ed erudizione. Ma è vero pure l’opposto: il libro si presenta esso stesso come ineliminabile rumore di fondo della vita. E le tracce si imprimono (nel libro, nell’animo) proprio perché questo rapporto si manifesta. E più che salvare il libro, forse oggi il compito si ribalta e diventa quello di salvare le nostre vite e i nostri animi con i libri. Di carta, digitali, non importa. Purché libri.

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