Teatro Tor Bella Monaca - Foto: Centofiori

Teatro Tor Bella Monaca: Il teatro degli affetti

Questo articolo è tratto dal primo numero di Centofiori, che potete leggere gratuitamente qui. Questo articolo è stato redatto ad aprile 2015. Attualmente, il Teatro Tor Bella Monaca è chiuso, in attesa di un nuovo bando per la gestione.

Quando entro nel sobrio foyer del Teatro Tor Bella Monaca ci sono dei ragazzini che siedono sulle poltroncine accanto alla macchina distributrice di caffè e merendine, e chiacchierano tranquillamente tra loro. Fuori piove e fa freddo. Uno di loro invita gli altri quattro a restare ancora un po’ perché si sta meglio lì, piuttosto che fuori al freddo. Il teatro è anche questo, una specie di accogliente rifugio sempre aperto, come mi conferma qualche attimo dopo Filippo D’Alessio, che ne è il Direttore. “Siamo un teatro aperto, un teatro degli affetti, non chiudiamo le porte a nessuno, siamo una parte attiva di questa comunità e di questo territorio”. Una formula il cui successo è innegabile, basta frequentare un po’ il teatro per scorgere platee sempre piene o giù di lì.

Dai dati forniti dal Direttore, scopriamo che In meno di due anni (da aprile 2013) vi sono stati 57.460 spettatori, di cui 54.650 paganti. Sono molti, moltissimi.  La parte del leone la fa la prosa, con 22.000 spettatori circa e 235 repliche di 100 spettacoli. Poi c’è la musica, con altri 9.000 spettatori, 120 repliche e 100 spettacoli. In terza posizione il Teatro Ragazzi, che ha visto in platea 5600 presenze, distribuite in 46 repliche di 21 spettacoli. E poi la danza, il Teatro Circo, le Compagnie locali, i saggi scolastici, i progetti speciali. Una miriade di eventi, anche in contemporanea, all’interno delle due sale di cui il teatro dispone. E che impegna normalmente una decina di addetti tra tecnici, maschere, amministrazione, biglietteria.

Centro Commerciale Le Torri - Foto: Centofiori
Centro Commerciale Le Torri – Foto: Centofiori

Non posso fare a meno di chiedere la ricetta di questo successo “in parte almeno inaspettato” dice D’Alessio, ammettendo implicitamente che il miracolo di Tor Bella Monaca è nato anche a tavolino. “Conosco questa realtà, lavoro qui da molti anni, e dunque conosco anche la domanda sociale e culturale che cova sotto la cenere. Una domanda che non poteva essere intercettata illuministicamente, se non in parte, ma con cui bisognava essere in sintonia”. Prova a elencare le componenti di questo ‘miracolo’: “Il teatro deve far parte della comunità dove opera, conoscerla ed esserne riconosciuto. Deve essere una specie di salotto nobile del quartiere. In conseguenza di ciò, deve costruire col pubblico un rapporto di affetto e di cura, deve letteralmente preoccuparsi degli spettatori, stringere un rapporto di amicizia con loro. È quello che Alessandro Benvenuti (il Direttore Artistico del teatro ndr) chiama ‘teatro degli affetti’. Poi abbiamo proposto prezzi ‘popolari’, offrendo spesso delle promozioni. Noi, dice D’Alessio, siamo dei sostenitori accesi dell’idea di ‘pubblico’, siamo un teatro pubblico seppure a gestione privata, per noi è un punto d’onore promuovere gli spettacoli, abbassando il più possibile la soglia di accesso. Infine, abbiamo fatto leva su una programmazione che tenesse nel giusto conto l’immaginario collettivo locale, senza imporre spettacoli che fossero lontani dalla percezione e dalla sensibilità degli spettatori reali, ma pure senza cadere nella tipiche volgarità commerciale. Un’offerta di qualità, che intercettasse le aspettative, non si imponesse. Per noi –  suggella il suo ragionamento D’Alessio – lo spettatore è una sorta di promotore culturale, la linea parte da lui e torna a lui. Noi vogliamo un teatro che sia contaminazione, che circoli nei quartieri, come una sorta di virus, realizzando un dialogo attivo tra teatro e cittadini, promuovendo appunto una sorta di crescita reciproca. Un teatro che sia intelligenza culturale del posto”.

Arena Esterna Teatro Tor Bella Monaca - Foto: Centofiori
Arena Esterna Teatro Tor Bella Monaca – Foto: Centofiori

Mi scopro ad annuire. È vero. Perché per noi di Centofiori, il teatro di Tor Bella Monaca è uno degli emblemi della ‘resistenza’ culturale di cui parliamo in questo numero. Uno ‘scoglio’ che si oppone al degrado in un’area periferica lontana anni luce dai tanti (e distanti) ‘centri’ politici, amministrativi, culturali, sociali che intravediamo sì e no in Tv. Mi rendo subito conto che parliamo la stessa lingua, perché D’Alessio sposa subito il concetto: “Sì, questo teatro è resistenza pura” dice. Non resistenza passiva, ovviamente. Non mera testimonianza assistita. “Noi facciamo impresa e portiamo risultati, proprio per questo la carica della nostra ‘resistenza’ è efficace. Il nostro bilancio è solido, la platea puntiamo a riempirla sempre” spiega. Nel frattempo il telefono squilla, si affaccia una collaboratrice, deve rispondere a qualche richiesta o fornire delle assicurazioni.

Gli chiedo di Alessandro Benvenuti, di come sia nato il connubio con questo grande attore. “È stato il caso” mi dice. “Prima di entrare in questa avventura, io ho lavorato per molti anni all’Estate Romana del Municipio. In una di queste circostanze ho incontrato Benvenuti, che recitava in un’iniziativa. C’è stata subito sintonia. E ci siamo ripromessi di sentirci ove fosse capitata un’occasione. Dinanzi alla possibilità di occuparmi della gestione del teatro TBM, l’ho chiamato e gli ho raccontato la ‘sfida’ culturale a cui volevamo sottoporci, chiedendogli di affrontarla con noi. Mi ha fatto parlare, ha ascoltato silenziosamente, poi ha detto soltanto che lui era pronto. Aveva perfettamente capito la scommessa di fare teatro e cultura qui, a Tor Bella Monaca. Avevamo in squadra non un freddo testimonial, non un borghese illumininato, ma un intellettuale, un grande attore pronto a spendere idee e momenti a favore di una battaglia, sì, periferica, ma avvincente e centrale dal punto di vista della cultura. In questo periodo ci è stato sempre vicino con una umiltà encomiabile. Ha incontrato le realtà sociali e culturali di qui. È stato presente e prodigo di idee e suggerimenti: è sua la linea del ‘teatro degli effetti’. Abbiamo anche passeggiato e mangiato la pizza qui al centro commerciale delle Torri. Ha fatto corpo con questa nostra realtà, insomma, e i risultati si sono visti”. I frequentatori del teatro sanno che D’Alessio ha l’abitudine salutare il pubblico in apertura di ogni spettacolo.

Anche questo è un pezzo del teatro degli affetti, del teatro che si prende cura e quasi coccola i propri spettatori. Il finale di intervista è dunque tutto per lui. Gli chiedo chi sia Filippo D’Alessio. Risponde quasi istintivamente: “Un regista-operaio. Uno che fa il regista teatrale, ma che si occupa di organizzazione culturale, ed è pronto a fare ogni cosa che possa esser utile, biglietteria compresa”. Uno che in meno di due anni ha portato quasi 60.000 persone in un teatro pubblico piantato nel bel mezzo di uno dei quartieri più difficili di Roma.
Uno che è sicuramente circondato da ottimi collaboratori, visti i risultati, e che vorrebbe continuare questa sfida anche negli anni venturi.
E allora pensavo, andando via sotto la pioggia di un pomeriggio di marzo ancora invernale, con l’edificio del Municipio schierato da una parte, quello del teatro a sinistra e davanti a me via di Tor Bella Monaca lucente di pioggia, che, se di fiori come questi ne fossero nati di più in queste periferie, cento almeno!, oggi queste case, questo cielo grigio e basso, e queste donne, uomini, ragazzini sarebbero meno ‘periferia’ di quanto non lo siano, purtroppo, ancora oggi.

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